Il 21 settembre 2024 segna il 34° anniversario dell’assassinio del giudice Rosario Livatino, un eroe silenzioso che si oppose al potere mafioso con coraggio e dedizione, fino a pagare con la vita il prezzo del suo impegno.

La sua figura, elevata oggi a simbolo della lotta alla criminalità organizzata, rappresenta una delle pagine più tragiche e, al contempo, più luminose della storia della magistratura italiana.

Rosario Livatino, soprannominato il “giudice ragazzino” per la sua giovane età, fu ucciso in un agguato mafioso il 21 settembre 1990 sulla statale tra Canicattì e Agrigento, mentre si recava al tribunale senza scorta, come era sua consuetudine.

La sua vita e il suo sacrificio hanno lasciato una traccia indelebile non solo nella comunità siciliana, ma in tutta la Nazione, dove la sua memoria continua a rappresentare un faro di legalità e giustizia.

Un contesto segnato dalla violenza mafiosa

Livatino operava in uno dei periodi più bui della storia italiana, gli anni della cosiddetta “mattanza mafiosa”. In Sicilia, la mafia agiva incontrastata, con i suoi tentacoli che si allungavano su ogni aspetto della vita economica, sociale e politica.

Le istituzioni dello Stato erano spesso impotenti, quando non colluse, di fronte alla potenza e alla spietatezza dei clan.

Era un’epoca in cui molti magistrati, giornalisti e forze dell’ordine che avevano deciso di non piegarsi alla logica mafiosa venivano eliminati senza pietà.

Nonostante il clima di terrore, Livatino non si arrese. Il giovane giudice era consapevole dei rischi che correva, ma non si fece mai scoraggiare. Il suo lavoro quotidiano era caratterizzato da una profonda dedizione alla ricerca della verità, alla tutela della legalità e alla difesa dei più deboli.

Il giudice e il servo di Dio

Oltre alla sua attività giudiziaria, Livatino era mosso da una forte spiritualità. Uomo profondamente cattolico, considerava il suo lavoro un atto di servizio non solo verso lo Stato, ma anche verso Dio.

La sua visione del diritto come strumento per accertare la verità e garantire la giustizia aveva radici tanto nel rispetto della Costituzione quanto nei valori evangelici.

Nel 2021, Rosario Livatino è stato beatificato dalla Chiesa cattolica, diventando il primo magistrato nella storia a essere riconosciuto come martire della fede.

Questo riconoscimento ha ulteriormente consolidato la sua immagine di uomo che non solo ha difeso lo Stato di diritto, ma ha vissuto il proprio lavoro come una missione morale.

Papa Francesco, in occasione della beatificazione, ha definito Livatino “martire della giustizia e, indirettamente, della fede”. Questo titolo sottolinea come il giudice avesse sempre considerato l’accertamento della verità un dovere non solo professionale, ma anche spirituale.

Livatino credeva che la giustizia fosse un valore supremo da perseguire con onestà e integrità, e che la verità dovesse essere difesa a qualsiasi costo.

Una vita dedicata alla lotta alla mafia

Sin dall’inizio della sua carriera, Livatino si trovò a fronteggiare i clan mafiosi, che all’epoca controllavano gran parte del territorio agrigentino.

Era noto per la sua preparazione giuridica e per il rigore con cui conduceva le indagini.

Una delle sue battaglie più importanti fu quella contro la cosiddetta “mafia dei colletti bianchi”, ovvero l’intreccio di interessi tra mafia, politica e imprenditoria.

Livatino aveva compreso che la forza dei clan non risiedeva solo nella violenza, ma soprattutto nella loro capacità di infiltrarsi nelle istituzioni e nell’economia legale.

Per questo motivo, concentrò gran parte delle sue indagini sugli aspetti patrimoniali e sui flussi finanziari illeciti, con l’obiettivo di colpire la mafia nei suoi punti nevralgici: i soldi e il potere.

Le sue inchieste portarono alla luce una fitta rete di corruzione e connivenze, scoperchiando il sistema di collusione che permetteva alla mafia di prosperare. Livatino era convinto che solo attraverso un’attenta ricostruzione dei rapporti finanziari e politici si sarebbe potuta sradicare la criminalità organizzata. Era un lavoro meticoloso, paziente, che richiedeva una dedizione assoluta e che lo espose inevitabilmente a gravi rischi.

Come ha sottolineato il giudice Canzio, che ha studiato a lungo la figura di Livatino, “non c’è dubbio che Rosario avesse compreso fino in fondo la portata del suo lavoro, ma non era mosso dall’ambizione o dal desiderio di potere. Ciò che lo guidava era un profondo senso del dovere e della giustizia”.

Il lascito morale di Rosario Livatino

A distanza di 34 anni, la memoria di Rosario Livatino è ancora vivissima, non solo tra coloro che lo conobbero personalmente, ma anche nelle giovani generazioni, che vedono in lui un esempio di rettitudine e coraggio.

Le manifestazioni in suo onore, organizzate ogni anno in Sicilia e in molte altre parti d’Italia, non hanno solo l’obiettivo di ricordare il sacrificio di un grande magistrato, ma anche di educare i giovani ai valori della legalità e della giustizia.

Per molte persone, Livatino rappresenta la figura di un eroe moderno, un uomo che, pur consapevole dei pericoli, scelse di non voltare lo sguardo dall’altra parte, di non arrendersi all’omertà e alla corruzione.

Il suo sacrificio è diventato un monito per tutti coloro che si trovano a dover fare scelte difficili in nome della verità e della giustizia.

La sua morte, però, non deve essere considerata solo come una tragedia personale. Essa rappresenta anche una vittoria morale, perché la mafia, pur avendolo fisicamente eliminato, non è riuscita a spegnere il messaggio che Livatino ha lasciato in eredità.

La sua figura è oggi più viva che mai, un simbolo di resistenza e integrità che continua a ispirare magistrati, avvocati, forze dell’ordine e tutti coloro che combattono quotidianamente contro l’illegalità.

Un ricordo che deve continuare a vivere

Il 34° anniversario della morte di Rosario Livatino ci invita a riflettere non solo sulla sua vita e sul suo sacrificio, ma anche sull’attuale situazione della lotta alla mafia in Italia.

Sebbene siano stati fatti molti progressi nel contrasto alla criminalità organizzata, la mafia continua a essere una presenza insidiosa, capace di adattarsi e trasformarsi per sopravvivere.

La memoria di uomini come Livatino ci ricorda che la battaglia contro la mafia non può mai dirsi conclusa. È una sfida che richiede l’impegno costante di tutti, dalle istituzioni ai cittadini, perché solo attraverso la partecipazione collettiva si può sperare di sconfiggere un fenomeno così radicato e complesso.

Come sottolineavano spesso i familiari di Livatino nelle commemorazioni, “il miglior modo per onorare il sacrificio di Rosario è continuare a lottare per quei valori di giustizia e legalità che lui ha difeso fino alla fine”. Solo così il suo sacrificio non sarà stato vano, e il sogno di una Sicilia e di un’Italia libere dalla mafia potrà diventare, un giorno, una realtà concreta.

La figura del giudice Rosario Livatino rimarrà per sempre un simbolo di come il coraggio e la fede possano guidare l’uomo nella sua missione di giustizia, anche di fronte agli ostacoli più insormontabili.

Il suo esempio non deve essere dimenticato, ma tramandato alle nuove generazioni come testimone di una lotta che riguarda tutti noi, oggi come allora.

34° anniversario della morte del giudice Rosario Livatino: un sacrificio che non deve essere dimenticato
Davide Difazio, giornalista iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, elenco pubblicisti Sicilia, dal 09/05/2003 N° di tessera 098283, protagonista di diverse trasmissioni televisive in Rai e Mediaset ha collaborato con diverse testate giornalistiche nazionali ottenendo risultati lusinghieri. Fondatore della testata giornalistica Siciliareporter.com, in pochi anni , è riuscito a far diventare il portale un importante punto di riferimento per l'informazione siciliana.